Critiche al VO2 max
Tim Noakes è uno scienziato e medico sudafricano. Le sue teorie controverse sono famose per sfidare il credo convenzionale su argomenti che spaziano dalla medicina dello sport alla biomeccanica e alla nutrizione, come ad esempio la promozione di una dieta ad alto contenuto di grassi e basso contenuto di carboidrati. Ma forse la sua idea più rivoluzionaria è quella che ripensa il motivo per cui gli atleti rallentano.
“Il Central Governor Model (CGM) si limita a dire che il cervello regola le prestazioni dell’esercizio fisico per garantire che non si muoia durante”, afferma Noakes.
Sembra semplice, ma l’idea dello scienziato rifiuta la visione comune che le prestazioni sono limitate dalla nostra capacità di utilizzare l’ossigeno durante l’esercizio fisico intenso, misura nota come VO2 max.
In passato il test del VO2 max è stato considerato un predittore della prestazione atletica: più alto è il VO2 max più veloce è l’atleta. Generalmente si pensa che raggiunto il picco massimo di VO2 max l’atleta inizi a rallentare perché i suoi muscoli soffrono della mancanza di ossigeno e il lavoro sfocia nell’intensità anaerobica (in carenza di ossigeno appunto).
Ma Noakes afferma che se i muscoli del corpo fossero limitati dalla quantità di ossigeno che possono utilizzare, la prima sensazione di esaurimento nell’atleta non avverrebbe nelle gambe, ma nel cuore. Sentirebbe un forte dolore toracico simile ad un attacco di cuore in arrivo, che è quello che accade quanto effettivamente al muscolo cardiaco manca ossigeno.
Sappiamo che è possibile provare una fatica terribile durante l’allenamento o una gara, ma non tutte si concludono con uno spasmo al torace che mettere a rischio la propria vita.
Inoltre, Noakes afferma che mentre il VO2 max potrebbe essere un buon indicatore della velocità massima durante il test stesso, spesso questo non ha alcuna correlazione diretta con le gare.
Ad esempio continua, Derek Clayton, detentore del record del mondo di maratona nel 1969, aveva un punteggio massimo di VO2 di 69,7 ml/kg/min, mentre Craig Virgin, un maratoneta leggermente più lento negli stessi anni, aveva un punteggio massimo di VO2 molto più alto di 81,1 ml/kg/min.
Con questi punti fermi Noakes ha dedotto che qualcos’altro ci fa rallentare quando siamo esausti, ben prima della mancanza di ossigeno. E quel qualcosa funziona come un regolatore di velocità per auto che impedisce di andare troppo forte evitando di uccidere noi stessi.
Questo regolatore, dice Noakes, è il nostro cervello che sub-coscientemente smette di reclutare i muscoli al fine di creare la sensazione di stanchezza. Questo riduce la frequenza cardiaca per proteggersi molto prima che i livelli di ossigeno raggiungano livelli pericolosamente bassi.
Quindi il modo migliore per accelerare e ritardare la fatica è quello di allenare il cervello oltre alle gambe e ai polmoni.
Il modo migliore per farlo, dice Noakes, è lavorare sulla forma e sull’efficienza. Ad esempio, raccomanda ai corridori di valutare il tempo di contatto a terra del piede, la lunghezza e la frequenza del passo durante le sessioni veloci.
“La chiave nella corsa veloce è di avere una lunghezza di passo molto lunga e un tempo di contatto al suolo molto breve“, dice. Nel nuoto invece, è possibile concentrarsi sull’aumento della distanza per bracciata e sull’efficienza della presa.
Noakes, quindi afferma che il VO2 max non è una statistica utile.
Sorprendentemente, la teoria di Noakes non ha molte critiche, in parte perché difficili da confutare.
Una recensione del British Journal of Physiology sostiene che la CGM è difettosa perché non può spiegare tutte le forme dell’esercizio fisico.
È quasi impossibile quindi trovare studi che si oppongano all’idea di Noakes.